Il discorso di chiusura del Liguria Pride 2016
Il discorso di chiusura del Liguria Pride 2016
Ciao a tutti e tutte, è bellissimo stare con voi oggi. Siamo oltre 4000! Più dell’anno scorso e con molti più carri. Cresce il nostro Liguria Pride, ha due anni e siamo già un fenomeno. Grazie a tutti e tutte a nome del Coordinamento Liguria Rainbow, organizzatore del Pride. Il primo ringraziamento vogliamo farlo a voi che siete qui oggi e che avete reso possibile questo Pride mettendoci il tempo e il cuore, organizzando e partecipando ad aperitivi di finanziamento, raccolte fondi, manifestazioni in piazza. Non ce l’avremmo mai fatta senza di voi!
Vogliamo poi ringraziare le più di 50 associazioni, tra le quali associazioni LGBT, culturali, di quartiere, ricreative, movimenti politici, associazioni sindacali, partiti, associazioni Scout, associazioni di genitori, gruppi di studenti, associazioni di prevenzione e salute che hanno aderito con entusiasmo e disponibilità al nostro Pride. Ringraziamo da subito tutti/e coloro che hanno patrocinato il nostro Pride di oggi: il Comune di Genova rappresentato oggi dal nostro sindaco Marco Doria e dall’assessora alla legalità e diritti Elena Fiorini, il Municipio centro est, la Fondazione Cultura di Palazzo Ducale, l’Università degli studi di Genova che oggi sarà rappresentata, per la prima volta a un Pride, dal magnifico rettore Professor Comanducci.
Inoltre quest’anno si sono uniti a noi dandoci il loro patrocinio, il Consolato dell’Ecuador in Genova, e il Consolato degli Stati Uniti d’America. Crediamo che basti questo a raccontare la ricchezza della nostra regione e a dire che i diritti sono per tutti e tutte o non sono per nessuno.
Ringraziamo in particolare la rappresentanza consolare degli Stati Uniti d’America, che simboleggia per noi l’affermazione dei diritti LGBT. E’ a New York, infatti, che nel 1969, è nato il primo Gay Pride della storia, e di quell’orgoglio e di quella dignità ci sentiamo figli e figlie. Anche per questo è impossibile non parlare del massacro di Orlando, la più grave strage della storia degli Stati Uniti dopo l’attacco dell’11 settembre. Più di 50 uomini e donne massacrati a causa del loro orientamento sessuale, uccise durante quella che doveva essere una festa piena di musica e divertimento. Una ragione in più per parlare di queste vite è che poca solidarietà è stata mostrata dai media e dai social italiani. Eravamo tutti Charlie, Parigi e Bruxelles, e pochi e poche sono Orlando. Si è parlato di “strage di gay”, senza considerare che l’orientamento sessuale di quelle persone è solo una parte della loro infinita complessità: erano uomini e donne, erano figlie e mariti, erano single, colleghi di lavoro, genitori, zie. Distruggere 50 vite è distruggere una comunità. La disgustosa ironia di questa tragedia, in base alle leggi loacali, è che le persone omosessuali in Florida non possono donare il sangue a più di 50 fratelli e sorelle ferite.
La co-responsabilità della violenza matura in un clima in cui le istituzioni sono le prime a non tutelare allo stesso modo tutti i cittadini, discriminandoli. Siamo stanchi di sentire parlare di pazzi che uccidono: uccidono persone gay, uccidono quotidianamente le donne, ma sono perfettamente normali in tutti gli altri ambiti della loro vita. Chiamiamo questa cosa col suo nome: chiamiamola omofobia! Chiamiamola violenza! Perché l’omofobia è violenza ed ha una matrice comune ai femminicidi. Giovedì scorso abbiamo portato il lutto al braccio e lo portiamo ancora oggi. Ci siamo fermati insieme in via XX settembre con la tristezza del cuore, in silenzio, per ricordare i nomi di chi non potrà più ballare, o cantare ed essere felice. Anche per questa ragione vogliamo offrire un Pride allegro e colorato, per non permettere a nessuno di piegare la nostra voglia di vivere.
Il nostro Pride Ligure è “All Families Pride”, perché oggi tutti e tutte qui, ora siamo una sola famiglia. In continuità con lo Human Pride dell’anno scorso crediamo che la battaglia per i diritti delle persone LGBT sia una battaglia per tutti e tutte. Quello che vogliamo sono famiglie accoglienti, dove tutti e tutte abbiano il loro posto, in cui nessuno debba rinunciare a qualcosa per essere accettato e amato. Dobbiamo essere noi, in tutte le diverse configurazioni familiari che la società ci offre, a farci testimoni del cambiamento. Perché a fare le famiglie ci sono le persone, non i modelli unici precostituiti che rischiano di diventare veicoli di oppressione ed esclusione sociale. Il femminismo ci ha insegnato che il privato è politico, è così ha scoperchiato il tetto delle mura domestiche trovandovi dentro i tabù sessuali, i non detti dell’incesto, i segreti della violenza e della sopraffazione di un genere sull’altro. Noi vogliamo famiglie nuove, oltre lo stretto recinto patriarcale, per liberare le energie umane, i sogni e i desideri delle donne e degli uomini che nei destini preordinati dei ruoli sessuali trovano una gabbia, che l’amore ideale rende dorata, fino a che non diventa per molte una gabbia di piombo.
Non parliamo di amori ideali, ma di amori quotidiani e veri: le famiglie omogenitoriali esistono nella realtà, ma non esistono ancora per la legge. Da anni la scienza riconosce come l’essere un buon genitore prescinda dall’orientamento sessuale. Eppure non è questa la domanda che dovremmo porci: dovremmo, senza esitazione, difendere il supremo interesse dei e delle minori, perché non è possibile che siano i magistrati e le magistrate a dover sanare vuoti normativi che lasciano decine e decine di bambini e bambine senza rete. Anche La Corte Suprema degli Stati Uniti d’America nel luglio 2015, emettendo la sentenza con la quale ha esteso il matrimonio egualitario a tutti i 51 Stati, ha rivendicato proprio il supremo interesse del minore e il suo benessere tra i motivi fondanti la scelta.
Dunque non ci basta essere accettati o tollerati:
- non smetteremo di lottare per la nostra dignità fino a che anche un solo ragazzo gay non avrà il coraggio di baciarsi in pubblico!
- non smetteremo di lottare fino a che una donna lesbica non potrà diventare liberamente madre!
- non smetteremo di lottare fino a che una sola persona transessuale verrà discriminata sul luogo di lavoro!
- non smetteremo di lottare fino a che un genitore di persona omosessuale o transgender si sentirà giudicato, incompreso o spaventato per il futuro dei propri figli/e!
- Non smetteremo di lottare fino a che una sola donna verrà picchiata, violentata o uccisa per aver lasciato un uomo!
Cosa vogliamo: prendiamo atto del primo passo fatto con le unioni civili. Ma chiediamoci, in tutta onestà: era proprio così che l’avevate sognato, dopo che per anni in Italia non abbiamo avuto una legge che ci tutelasse e ci desse dignità? Cosa sognavate?
Crediamo che abbiate sognato quello che abbiamo desiderato anche noi, come in Francia, in Irlanda e in America: matrimonio egualitario, adozione per coppie e single a prescindere dall’identità di genere e dall’orientamento sessuale, riconoscimento dei figli alla nascita e adozione piena per quelli già nati, accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita che, per come regolate oggi in Italia, costringono ancora la libertà delle donne all’arbitrio dell’uomo, promulgazione di una legge contro l’omo-transfobia.
Vogliamo che si parli di educazione all’affettività e alla sessualità nelle scuole, perché tutelare dalla violenza e dai rischi per la salute è un atto di amore verso le nuove generazioni. Vogliamo parità di diritti sui posti di lavoro per tutte le donne e le persone omosessuali e transgender.
Nonostante l’approvazione di una legge che non corrisponde ai nostri desideri e, più importante, alla tutela dei soggetti più deboli, dobbiamo ancora subire l’insulto dei numerosi appelli all’obiezione di coscienza. I diritti non sono questione di coscienza, sono attributi degli esseri umani che in ogni condizione devono essere salvaguardati e tutelati. I diritti estesi solo ad alcuni/e sono privilegi. L’assenza di tutela dei diritti fa si che parte della cittadinanza non si senta integrata nella comunità e debba vivere addirittura nella paura e nel segreto.
Questa Onda Pride è l’onda della visibilità: non solo delle persone LGBT, ma di tutti/e voi in piazza con noi oggi. Siate testimoni del desiderio di giustizia e di libertà che anima questo corteo oggi. Essere attivisti non vuol dire far parte del Coordinamento o di un’associazione: vuole dire fare la differenza a scuola, sul posto di lavoro, nei discorsi al bar, sull’autobus, durante la partita a calcetto. Il riconoscimento dei diritti e della possibilità di amare rende la nostra società più giusta e più viva. Negare questo riconoscimento costringe le persone a fare o non fare scelte: avere figli, andare al lavoro dichiarando il proprio orientamento sessuale, vivere sotto la costante minaccia della discriminazione in famiglia, a scuola, giustificando comportamenti omofobi, transfobici e violenti.
Voi oggi in questa piazza scegliete: scegliete di essere un simbolo vivente, scegliete di essere la forza di cambiamento di questo paese, scegliete di includere invece che discriminare, scegliete di capire invece che giudicare, scegliete di soccorrere invece di respingere, scegliete il coraggio invece della paura, scegliete di baciarvi invece che piangere.
Tra qualche mese, quando penseremo di essere troppo stanchi e stanche per continuare a lottare, quando gli insulti e i pregiudizi ci faranno troppo male, quando i nostri traguardi ci sembreranno ancora lontani, quando avremo voglia di mollare per i troppi impegni della vita, quando penseremo “beh dai, qualcosa comunque l’abbiamo ottenuto” e crederemo di doverci accontentare… sarà allora che guardando le nostre foto, i mille volti di uomini donne bambini e bambine in piazza oggi e sapremo che la nostra felicità e i nostri diritti sono solo a un altro Pride di distanza.
L’amore vince sempre e noi ne siamo la prova!